11.03.2021 – Il coniuge in regime di comunione legale dei beni preleva dal conto corrente comune in prossimità della separazione: i soldi vanno restituiti?
Una delle questioni più controverse tra i coniugi in comunione legale è certamente quella relativa alla titolarità del denaro dagli stessi percepito in comunione dei beni, sia con riferimento al momento dell’acquisto e del deposito su un conto corrente personale o cointestato ed al suo utilizzo per investimenti volti a conservare e a incrementare il potere di acquisto, sia, soprattutto, con riferimento al momento dello scioglimento della comunione legale in occasione della separazione personale.
Il denaro è, a tutti gli effetti, un bene mobile, che può essere oggetto di proprietà come qualunque bene mobile. Le norme della comunione dei beni non prevedono alcuna specifica disciplina dell’acquisto del denaro; le norme del Codice Civile, infatti, laddove disciplinano la regola sull’oggetto della comunione si riferiscono genericamente agli “acquisti compiuti”.
Sulla scorta di tali considerazioni, si pone l’attenzione sulla recente decisione della Corte di Appello di Venezia che ha integralmente riformato, sul punto, la pronuncia del Tribunale di Padova.
Il giudice di primo grado, con sentenza n. 1525/2019 di separazione personale dei coniugi, condannava la moglie a restituire al marito le somme da questa prelevate dal conto corrente comune, in quanto essa avrebbe operato illegittimamente, da un lato essendo incontestato il fatto del prelievo in prossimità della separazione e dall’altro rilevando che il marito avrebbe dimostrato di aver alimentato il predetto conto, in via esclusiva, con i proventi dell’attività lavorativa (circostanza che avrebbe consentito di superare la presunzione di comproprietà delle somme sul conto corrente comune).
La Corte di Appello di Venezia, tuttavia, con sentenza n. 1627/2020 ha recentemente riformato detta sentenza giudicandola errata in diritto, sul presupposto che, a norma dell’art. 177 lett. C) c.c., rientrano nella comunione i proventi delle attività di lavoro prestate dai singoli coniugi se allo scioglimento della comunione non risultano consumati. Ciò rende, quindi, irrilevante, secondo la Corte, la questione della cointestazione del conto corrente in cui tali redditi confluiscono.
Inoltre, al fine di poter affermare l’illegittimità del prelievo, l’appellato avrebbe dovuto indicare le somme complessive presenti sul conto corrente ed i valori economici in senso lato in comune con la moglie al fine di dimostrare l’eccedenza delle somme prelevate dalla moglie rispetto alla quota a lei spettante (il 50%).
A oltre quarant’anni dall’entrata in vigore delle norme relative alla comunione legale dei beni colpisce constatare che non sia ancora chiaro quali siano le sorti del denaro giacente sui conti correnti bancari dei coniugi intestati singolarmente e cointestati, rispetto alle norme sulla comunione legale dei beni, sul suo scioglimento, sui rimborsi e sulle restituzioni.
Il regime patrimoniale della comunione legale dei beni, che fondava la propria ragion d’essere sul principio di solidarietà coniugale e sulla tutela del coniuge che, pur non percettore di un reddito da lavoro, contribuiva innegabilmente con il proprio impegno domestico alla crescita e al consolidamento delle risorse familiari, deve oggi tener conto della produzione di reddito da lavoro da parte di entrambi i coniugi.
Alla carenza normativa, dunque, ha sopperito e sopperisce il lavoro ermeneutico di autorevole dottrina e della giurisprudenza; lavoro che, tuttavia, appare frammentario e non univoco e volto a disciplinare singole ipotesi, piuttosto che a risolvere ab origine i punti nevralgici della questione, come solo una espressa disposizione normativa potrebbe fare.
Avvocato Cassazionista