CYBERSTALKING: quando la persecuzione diventa digitale.
Viviamo in una realtà ove ormai i social media costituiscono parte integrante della nostra vita tale da risultare essenziali; talvolta, purtroppo, persino vitali.
Non è un caso che la quotidianità dell’uomo moderno ruoti attorno ad e-mail, post su Facebook, fotografie su Instagram e messaggistica istantanea: egli è diventato schiavo di tali forme di comunicazione, subendo ed assecondando l’impellente bisogno di condividere con il “mondo social” plurimi aspetti della propria vita privata.
Sebbene l’utilizzo di detti strumenti solitamente venga impiegato al fine di ricercare il consenso degli altri, qualche minuto di popolarità o semplicemente un like in più su Facebook, può anche accadere che detta tecnologia diventi un mezzo per porre in essere delle condotte illecite.
L’evoluzione digitale, infatti, ha permesso a diverse tipologie di reato già esistenti di affinarsi, di evolversi assumendo dei tratti distintivi più subdoli e spesso di difficile percezione materiale: un esempio di queste forme moderne di fattispecie criminose è rappresentato sicuramente dal cyberstalking.
Il cyberstalking si può inquadrare come la versione informatica del reato di “stalking” il quale è previsto e punito da nostro Codice Penale all’art. 612bis – Atti Persecutori. Il termine utilizzato “stalking” deriva dal verbo inglese “to stalk” che significa propriamente “cacciare facendo la posta, braccare”; lo stalker, dunque, “caccia”, “bracca” o “si apposta per” la propria vittima.
Suddetto reato, introdotto in Italia dalla Legge n. 38/2009 e parzialmente modificato con la Legge n. 119/2013, punisce tutte quelle condotte persecutorie e di interferenza nella vita privata di una persona, tali da determinare nella persona offesa un “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, ovvero un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine, oppure costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena per il reato in questione è della reclusione da sei mesi a quattro anni ed un aumento è previsto qualora il fatto sia commesso nell’ambito familiare (art. 612-bis, comma 2) o qualora sia commesso in danno di particolari soggetti c.d. deboli, quali i minori, le donne in stato di gravidanza o i disabili (art. 612-bis, comma 3).
Prima di questo intervento legislativo alcune condotte (ma non tutte), che oggi rientrano nella definizione di stalking, venivano punite da altre norme penali (minaccia, violenza privata, maltrattamenti in famiglia, molestie); oggi, con l’estendersi dell’uso delle tecnologie informatiche e dei social network, tali condotte si sono diffuse anche alle relazioni telematiche.
Ecco allora che il cyberstalking si configura come una condotta di stalking perpetrata mediante l’utilizzo della rete: lo stalker, mediante tale mezzo, mette in atto svariati comportamenti con lo scopo di molestare la propria vittima direttamente o indirettamente. Il mezzo informatico, infatti, offre al cyberstalker diverse e più ampie modalità di azione: l’invio costante e di grandi quantità di e-mail e messaggi alla persona offesa, l’invio di messaggi o e-mail dal contenuto offensivo e lesivo della psiche della vittima (“spamming”), l’intrusione nel sistema informatico della vittima tramite programmi volti ad assumerne il controllo (“trojan horse”) o a danneggiarlo (virus), la diffusione sulla rete di informazioni dai contenuti lesivi ed offensivi riguardanti la vittima.
L’art. 612bis c.p. non disciplina espressamente tale nuova forma di reato, i cui elementi costitutivi spesso risultano di difficile identificazione stante la varietà delle condotte poste in essere dal soggetto che lo commette. Un piccolo passo in avanti in tal senso si è raggiunto con la Legge n. 119/2013 che ha introdotto un aumento di pena qualora l’illecito di cui sopra venga commesso mediante l’utilizzo di strumenti informatici o telematici.
In ogni caso, la giurisprudenza ha cercato di colmare detto vuoto legislativo mediante delle pronunce in cui sono stati ricondotti al reato di stalking episodi di minacce, persecuzioni ed interferenze illecite nella sfera privata attuati con strumenti informatici.
Al riguardo, si segnala una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. V, n. 57764/2017) riguardante la creazione di un profilo Facebook denominato “lapidiamo la rovina famiglie” in cui l’imputato aveva pubblicato foto, filmati e commenti con riferimenti più o meno espliciti alla sua ex amante, a suo modo di intendere rea di aver rivelato alla moglie l’esistenza della relazione extraconiugale.
La Suprema Corte, dopo aver riaffermato il principio per cui “i messaggi o filmati postati sui social network integrano l’elemento oggettivo del delitto di atti persecutori […]“, ha poi precisato che “l’attitudine dannosa di tali condotte non è […] tanto quella di costringere la vittima a subire offese o minacce per via telematica, quanto quella di diffondere fra gli utenti della rete dati, veri o falsi, fortemente dannosi e fonte di inquietudine per la parte offesa“.
Nonostante il valido contributo offerto dalla giurisprudenza di legittimità, il reato di cyberstalking, di sempre maggiore diffusione, risulta certamente un nuovo fenomeno criminoso che richiederebbe un concreto intervento da parte del legislatore mediante la formulazione di una norma penale ad hoc che lo preveda specificatamente.