La composizione della crisi da sovraindebitamento del debitore giova al garante?

I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento sono strumenti che l’ordinamento mette a disposizione dei soggetti non fallibili (quindi, ad esempio, anche dei consumatori, dei piccoli imprenditori o degli imprenditori agricoli) che si trovino in una situazione di crisi – cioè di non momentaneo squilibrio tra debiti e patrimonio – al fine di consentire loro di rimediare al proprio indebitamento.

Si tratta di tre distinti strumenti: l’accordo con i creditori, il piano del consumatore, la liquidazione del patrimonio; l’effetto finale cui mirano è comunque il medesimo: l’esdebitazione del debitore, vale a dire la sua liberazione dai debiti residui.

Se il più delle volte la crisi del soggetto sovraindebitato rimane circoscritta ai rapporti con i suoi creditori, i quali subiranno una compressione delle proprie ragioni di credito, non di rado accade che essa finisca per riverberarsi severamente anche su altri soggetti: alludiamo, primi fra tutti, ai garanti del debitore principale.

Si pensi, ad esempio, al genitore che abbia prestato una fideiussione per il “mutuo prima casa“ contratto dal figlio, oppure, similmente, al socio, costituitosi garante del rimborso del finanziamento concesso dalla banca alla piccola società da egli partecipata.

In questi casi, qualora il figlio o la società si vengano a trovare nell’impossibilità di far fronte ai propri debiti e promuovano, quindi, con successo la procedura di composizione della crisi, che ne è dei loro garanti? Continuano a rispondere del debito originario oppure potranno godere anch’essi, al pari dei debitori principali, degli effetti esdebitatori propri della composizione della crisi?

In base ai principi generali ricavabili dal codice civile, la risposta al quesito dovrebbe essere la seconda (principi dell’accessorietà dell’obbligazione di garanzia e dell’estensione degli effetti favorevoli ai condebitori). In realtà, però, le cose non stanno esattamente in questo modo.

Nell’ambito della disciplina dettata per la composizione della crisi da sovraindebitamento sono state previste talune norme speciali che, riecheggiando quanto stabilito in materia di fallimento e di concordato preventivo (ma non anche di liquidazione coatta amministrativa), espressamente escludono che gli effetti dell’accordo con i creditori e del piano del consumatore possano giovare anche ai garanti.

Ciò significa che il garante continuerà a rispondere dell’intero (originario) debito: dunque, in definitiva, che gli effetti della crisi del debitore principale ricadranno su di lui.

Questo discorso vale per l’accordo con i creditori e per il piano del consumatore. E per il terzo strumento a disposizione del debitore in crisi, cioè la liquidazione del suo patrimonio? Nulla dice la legge a riguardo: non c’è, insomma, una norma che specificatamente disciplini gli effetti della liquidazione nei riguardi dei garanti del debitore.

Pur tra le incertezze interpretative – e le prevalenti voci contrarie – pare più convincente la ricostruzione incline ad estendere anche ai garanti gli effetti benefici del risanamento della posizione economica del debitore: non solo per quanto in precedenza detto intorno ai principi generali, o per la “sonora dissonanza” del dettato normativo de quo rispetto a quello dell’accordo, del piano e soprattutto dell’omologo istituto fallimentare, ma anche perché – a ben vedere – questa soluzione risulta maggiormente coerente al favor debitoris che connota l’intera materia, riflesso normativo della volontà politica di introdurre strumenti finalmente in grado di spezzare le spirali del debito in cui la crisi economica ha sovente precipitato intere famiglie.

 

 

 Simona Siotto

Avvocato Cassazionista